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Sorpresa dal turismo: l’Umbria “bella e sicura” tira più che nel 2019. E i depositi bancari crescono. Ma non si investe

POLE POLITIK di MARCO BRUNACCI | La proposta turistica della giunta Tesei ha funzionato (lo certifica Unioncamere). Ma ora il futuro economico della regione – lavoro, ripresa, benessere – passa dalla “rivoluzione della fiducia”. Il vero crash test di settembre

di Marco Brunacci

PERUGIA -Parliamo di Umbria ed economia, il futuro di tutti noi. Via col turismo. Un mezzo miracolo. Il dato è certificato da una indagine di Isnart Unioncamere: proprio nel periodo dell’anno – giugno-metà luglio – in cui l’utilizzo alberghiero e il turismo in generale in Umbria, storicamente, soffrono di più rispetto al resto d’Italia, c’è stata un’inversione di tendenza che è un dato e non un’opinione: Lo slogan “Umbria bella e sicura” – anticipato da Cityjournal ai primi di aprile e poi confermato in queste ultime settimane grazie a una risposta della regione al Covid tra le migliori in Italia – ha funzionato tra la gente.

Risultato: solo 5 regioni crescono, in questa prima fase dell’estate, in quanto a giro di affari del turismo rispetto al 2019 e 4 di queste hanno il mare: la Sicilia, il Friuli, l’Abruzzo e il Molise. L’Umbria è la regione che cresce anche senza mare. Un dato per chiarire: in luglio 2019, l’Umbria aveva un utilizzo delle strutture turistiche di 35 rispetto al 70 del resto d’Italia. Ora ha superato quel livello.

IL MEZZO MIRACOLO DEL TURISMO

Il post Covid premia le strutture umbre e il giro d’affari degli esercizi umbri. Un incremento rispetto al 2019. Un mezzo miracolo. A sorpresa la rilevazione di Unioncamere dice che almeno un terzo di chi ha scelto l’Umbria, lo ha fatto perchè è “sicura” oltre che bella. Il Covid in Umbria non spaventa come invece in altre zone d’Italia.
Ancora numeri: ambiente, arte, cortesia, alloggi, prezzi, cibo. Chi ha scelto l’Umbria è soddisfatto di ogni aspetto della proposta regionale e ritiene ogni singola voce migliore rispetto al resto d’Italia.
Mica male come risultato, nel mentre si discute, si cavilla, si discetta su strategie, tempi e modi, ecco che arrivano risultati. Medaglia al petto per miss Tesei, sperando che non sia un risultato passeggero (ma Unioncamera elenca una serie di indicatori che dicono come la scelta del momento possa essere confermata).
Aggiungiamo, come ovvio e naturale, per anticipare banali obiezioni: quello che hanno perso gli operatori del settore in mesi di lockdown e di prenotazioni cancellate non si recupera in un fiat, ma se questa intanto è una rondine, magari comincia ad arrivare anche un po’ di primavera.
Il mezzo miracolo del turismo non toglie però che il nodo di come rivitalizzare l’economia regionale resta la questione principale per la giunta regionale per la governatrice Tesei. Nel summit di venerdì, che si è tenuto per iniziativa della Regione, gli esperti di Bankitalia hanno potuto finalmente mostrare tutti i dati dei loro studi, delle comparazioni statistiche, dei grafici che puntano, da anni e non certo solo col Covid, verso il basso. Numeri, studi, non opinioni politiche.

ECONOMIA UN ARRETRAMENTO LUNGO DIECI ANNI

Quello che condanna l’ultimo centrosinistra di governo è che da dieci anni a questa parte non è riuscito a incidere sulla vitalità economica della regione. Ha solo preso atto di un declino, che ha aspetti raggelanti, soprattutto sul versante del livello di fiducia della gente in generale e degli imprenditori in particolare. Praticamente tutti sulla difensiva rispetto a un interlocutore pubblico immobile di fronte al succedersi delle crisi strutturali e anche delle criticità del momento.
Di fronte al corpo sociale in sofferenza, il medico pubblico si è ritagliato un ruolo come svogliato distributore di qualche pillola di assistenzialismo. Il risultato è stato il ben noto rallentamento da record del pIl, insieme a una contrazione del sistema industriale e manifatturiero che condanna l’Umbria ad essere sempre più regione del sud – con troppo impiego pubblico, utile ad evitare i morsi più acuti delle crisi, ma poche occasioni di lavoro nel privato – invece che agganciata alla locomotiva del nord industriale del Paese.
Il quadro era a tutti ben chiaro. Bankitalia lo aveva ben spiegato, ma non c’è sordo più sordo di chi non vuol sentire. Adesso il quadro si è ulteriormente deteriorato, dopo la tremenda stretta del Covid e del post Covid.
Qui però il sistema Italia, quindi anche l’Umbria, si fa forte di una tempra speciale che è quella delle persone del fare. L’industria – italiana e umbra – si è rimboccata subito le maniche e ha reagito. La produzione (+42% a livello nazionale) ha avuto un sussulto anche a livello regionale, giustificando le teorie, anche qui avanzate, che la crisi del Covid sia stata un flash-crash: un grosso incidente, ma momentaneo.
Questo non mette nessuno al sicuro rispetto a una ripartenza di settembre che sarà comunque molto difficile, però permette di iniziare a lavorare su qualche base.
A settembre l’Umbria avrà il suo crash-test. Dovrà fare i conti col bilancio, sapere se arrivano o no i fondi europei, decidere da che parte indirizzare la ripresa. Gli elementi per la diagnosi ci sono tutti, per la terapia – visti i risultati del summit di venerdì – le idee sono sufficientemente chiare. Certi processi vanno attivati. Per esempio: si pagano stipendi troppo bassi ai dipendenti, non ci sono occasioni di lavoro all’altezza delle attese dei migliori cervelli dei giovani umbri, per cui gli ingegneri scelgono Milano e Dusseldorf invece che restare in Umbria.
Il sistema ha bisogno di correzioni profonde. Il Covid, in Umbria come nel resto d’Italia, ha chiarito in maniera ci si augura definitiva, che un Paese avanzato non può fare a meno di avere una manifattura forte. In Umbria era uno dei temi più cari al miglior sindacato (le intemerate in anni passati dell’ex Cisl, Sbarra, un giorno andranno ricordate) e a qualche industriale col senso del futuro. Oggi è patrimonio di tutti. Più manifattura vuol dire più terziario, anche necessariamente più avanzato.
Ma fin qui abbiamo elencato i pii desideri, le linee guida di una ipotetica rivoluzione che può essere innescata ma ha bisogno di tempo per essere realizzata.

LA SVOLTA: MENO RENDITE, PIU’ INVESTIMENTI

La svolta può avvenire, per l’Umbria in particolare, se la giunta Tesei e tutto il sistema produttivo e delle imprese, vince la sfida delle sfide. Ecco qua. Si parte da un dato: Bankitalia certifica che i depositi bancari in Umbria, in particolare nella provincia di Perugia, non soltanto sono da anni a livelli elevati, ma nel periodo del Covid sono ulteriormente aumentati. C’è una ricchezza privata che va convinta a lasciare le rendite per indirizzarsi verso gli investimenti. E’ la rivoluzione della fiducia. Ma una battaglia di questo tipo passa per una comunicazione che sappia infondere ottimismo e creare le condizioni per far tornare i cittadini protagonisti del proprio futuro. La giunta regionale non può fare miracoli. Se le tasse ti massacrano, non puoi pensare che trovi investitori disposti a farsi mangiare con tutti i panni addosso da uno Stato famelico.
Ma miss Tesei e i suoi assessori possono provare a proporre un modello Umbria diverso dal passato, più vivace e attrattivo, che dia più occasioni ai giovani talenti umbri e più lavoro e benessere a tutti Comunicando fiducia, finora un’attività poco praticata dalla giunta regionale. Ma magari potrà diventare uno dei principali impegni dell’autunno.

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